Convincere o Persuadere?


Chi naviga nell'oceano immenso e affascinante delle Vendite si interroga spesso sui segreti, sulle regole e sulle azioni di successo che consentono di ottenere risultati soddisfacenti in termini di maggiore fatturato (in ogni tipo di attività commerciale).
Io sostengo con forza che la base del successo nella fase commerciale di ogni tipo di prodotto o servizio risieda nella differenza sostanziale che esiste tra 2 approcci e e 2 mentalità commerciali apparentemente simili ma che sono in realtà agli antipodi.


La prima tipologia di approccio è quella basata sul “convincimento”: con questa mentalità, si approccia i clienti e/o i potenziali clienti essendo concentrati nel doverli CONVINCERE della bontà del mio prodotto, o dell’opportunità/necessità di dover comprare da me e non da altri.
Per verificare la validità di questo tipo di approccio è sufficiente ricorrere al significato etimologico della parola “CONVINCERE”: dal latino, CUM-VINCERE, cioè “superare con”. Chi si basa su questo tipo di approccio, quindi, si concentra (inconsapevolmente o meno) ad indurre qualcuno a credere in qualcosa SUPERANDO le sue convinzioni, le sue reticenze, e le sue obiezioni con ragionamenti, prove concrete, dati specifici, ecc.

La seconda tipologia di approccio invece è basata sulla “persuasione”: con questa mentalità, cioè, i clienti si approcciano più con il tentativo di doverli convincere di qualcosa. Per comprendere meglio la differenza, anche qui è sufficiente far riferimento al significato etimologico della parola “PERSUADERE”: dal latino, “indurre a fare”, cioè indurre/aiutare qualcuno a fare qualcosa e/o a prendere decisioni attraverso parole ed azioni efficaci.
                                                                                                                           
Ad una prima analisi superficiale, questa potrebbe rappresentare una differenza superflua e insignificante. Ma in realtà nasconde a mio avviso l’essenza della Vendita.
Se ti limiti mentalmente a dover CONVINCERE gli altri, stai dicendo a te stesso che avrai una serie di ostacoli da dover superare rappresentati dalle obiezioni del cliente, dalle sue resistenze all’acquisto e dalle sue diffidenze. Insomma, parti in salita e già semi perdente.
Se invece ti predisponi a dover semplicemente PERSUADERE qualcuno, stai dicendo a te stesso che non c’è nessun ostacolo da superare, ma solo un individuo di fronte a te bisognoso di prendere una decisione adeguata alle sue esigenze. E tu, con la tua competenza, con la tua sensibilità, con la tua conoscenza e con la tua voglia di comprenderlo, potrai aiutarlo a prendere la decisione giusta.

Banalmente Semplice… ma non per tutti!

Colloquio di Selezione


Ultimamente ho avuto poco tempo da dedicare alla cure del  Blog, perché assorbita totalmente da un’attività bellissima, ma che richiede estrema cura, estreme energie ed estremo impegno: la ricerca e la selezione del personale, come supporto agli imprenditori che seguo dal punto di vista consulenziale.
Era da molto che non me ne occupavo, ben consapevole del fatto che, se da un lato è un’attività bellissima che consente di offrire opportunità di guadagno e quindi di vita a tante persone, dall’altro lato rappresenta una fonte di demotivazione notevole. Si, hai letto bene: fonte di demotivazione. Perché è davvero demotivante cercare di offrire un’opportunità lavorativa e ricevere (da parte di una buona percentuale di candidati) un atteggiamento presuntuoso, diffidente, superficiale, svogliato, ecc ecc ecc. Così come è altamente demotivante riscontrare che molte persone che cercano lavoro credono che ad essere selezionate siano solo le loro competenze tecniche, ma ignorano completamente l’importanza delle loro competenze relazionali.
Ed è proprio delle competenze relazionali quello di cui vi voglio parlare oggi: qualunque tipo di lavoro tu stia cercando (come barista, come venditore, come amministrativa, come magazziniere, come responsabile produzione o come fisico nucleare), devi essere consapevole che quello che sai e quello che sai fare è si necessario, ma OGGI non più sufficiente. Oggi infatti gli imprenditori “illuminati” (e ti auguro di lavorare con loro perché saranno gli unici a garantirti un futuro roseo) osservano molto di più le tue attitudini relazionali: come comunichi, come ti poni con gli altri, che umore hai nella maggior parte dei casi , come gestisci le difficoltà, come gestisci lo stress, e che tipo di cultura lavorativa hai.
Queste caratteristiche diventano sempre più fondamentali semplicemente perché difficilmente si possono insegnare all’interno di un’azienda. Mentre le competenze tecniche si possono trasferire e formare, sulle competenze relazionali è necessario che ti formi e ti migliori autonomamente e costantemente.

Fatta questa doverosa premessa, ora suggerirò delle domande da fare a colloquio a tutti coloro che si troveranno a selezionare un nuovo collaboratore. Domande utili per valutare le competenze relazionali e l’atteggiamento lavorativo. Ovviamente, se tu che leggi stai invece cercando un nuovo lavoro, prova a rispondere a ciascuna domanda e se ti senti poco sicuro della tua risposta, sai che quello è un punto su cui lavorare AUTONOMAMENTE, pena il fallimento della tua ricerca.


  1. Parlami di un grosso errore da te commesso nelle esperienze lavorative precedenti: cosa ti ha indotto a commetterlo? (questa è una domanda fondamentale per capire se la persona si prende la responsabilità dei propri errori o se invece la scarica sugli altri o sugli agenti o eventi esterni. Se non gli viene in mente nulla, alza le antenne: o ne ha commessi davvero tanti e non sa da dove cominciare; o non rivede gli errori che commette; o è un gran scansafatiche. Perché solo chi non lavora non commette errori)
  2. Cosa ti infastidisce di più nelle altre persone? E come gestisci le persone quando queste caratteristiche vengono fuori?
  3. Quale aspetto tuo infastidisce di più gli altri? E come reagiscono?
  4. In che modo una persona può nuocere un  gruppo? Ti è mai capitato? Come hai reagito? (tutte le domande sopra elencate ti aiutano a capire la percezione che la persona ha di se stesso e degli altri. In base a questo, saprai anche come si relazionerà con i colleghi, con i responsabili, con i clienti, ecc);
  5. Quando un’azienda va male, che responsabilità ha un dipendente/collaboratore? (ancora una volta, e in maniera ripetuta, metti alla prova la sua PROATTIVITA’: se la persona cade dalle nuvole e non sa cosa risponderti, c’è puzza di “mentalità sindacalista”, cioè “se le cose vanno bene è merito dei dipendenti, se vanno male è colpa del PADRONE”; se si arrampica sugli specchi, non si era mai posto questo tipo di domanda. E non comincerà certo a farlo nella tua azienda);
  6. Cosa pensi di aver imparato nella tua ultima esperienza lavorativa? (se la persona ti parlerà solo di cose tecniche, tipo “ho imparato a usare il muletto; ho imparato a utilizzare meglio excel, ecc”, significa che è focalizzata solo sul fare e poco sul relazionarsi. E quindi potrebbe tendere a mettersi poco in discussione su questo secondo aspetto. c'è perciò da indagare molto con ulteriori domande).
  7. Domanda per i Venditori: se per 2 mesi di fila le tue statistiche di vendita calano, che cosa fai? E dopo le sue risposte, gli chiedi “e se non dovesse bastare? E se non dovesse bastare? E se ancora non dovesse bastare?” per 5 o 6 volte. (in questo modo, aldilà delle specifiche risposte, osservi come reagisce sia dal punto di vista verbale che non verbale quando qualcuno lo mette in difficoltà o sotto stress);
  8. Mi  può elencare i i risultati che ha ottenuto nelle sue precedenti esperienze lavorative?” (se la persona comincerà ad elencarti solo le azioni fatte e non i risultati ottenuti attraverso quelle azioni, c’è una buona probabilità che anche qui ci sia puzza di “mentalità sindacalista”, e cioè “vengo pagato/a per andare a lavoro e per fare le cose, magari per fare ciò che mi viene detto di fare”. E sappiamo quanto sia fallimentare per un imprenditore avere tante persone così in azienda. Ma facciamo un esempio semplice e concreto: supponiamo che tu abbia un ristorante e che stia cercando un cameriere in gamba. A questa domanda un cameriere mediocre ti risponderebbe “ho servito 100 tavoli a serata”, pensando che erroneamente il suo lavoro sia “servire ai tavoli”. Un cameriere eccellente ti risponderebbe “ho reso soddisfatti ed entusiasti 100 tavoli a serata, vendendogli più piatti di quelli che avrebbero preso e senza nessun tipo di lamentela in merito al servizio”. Io, una persona che mi risponde in questo modo, la prenderei SUBITO, e per qualsiasi tipo di lavoro).
Queste ovviamente sono solo un antipasto delle domande da fare, perché ovviamente mi è impossibile elencartele tutte. Qualora volessi ricevere ulteriori approfondimenti è sufficiente scrivermi a m.tarallo@all-winners.it e sarò lieta di darti ulteriori indicazioni personalizzate in base alla figura o al lavoro da te ricercato (tutto rigorosamente in omaggio).
Ma prima di lasciarti, ti fornisco un ulteriore suggerimento: qualunque domanda tu ponga, non accontentarti della prima risposta, che è sempre una risposta “sociale”. Tutte le volte cioè che poni una domanda, il candidato si chiederà sempre “che risposta vuole ascoltare da me?” e ti darà quella. Tu quindi rischi di fare un intero colloquio con un finto candidato, e te ne accorgeresti solo dopo settimane o mesi che lo hai assunto.
Per evitare sorprese invece abbi il coraggio e la pazienza di andare  a fondo ad ogni risposta: chiedi continuamente “in che senso, scusi?”, oppure “mi fa un esempio?”, o ancora “può essere più specifico?”. 
Nessuno riesce a recitare una parte tanto a lungo, ma più o meno tutti riescono a farlo per pochi secondi/minuti, soprattutto se non c’è qualcuno che cerca di andare oltre la maschere indossate.